I Borghese e l’Antico
Skira 2011
edizione italiana a cura di Scriptum
Non è mai successo, e non succederà mai più: dalla fine del 2011, per tre mesi la Galleria Borghese è stata com’era nel 1807, anno di una tra le più sensazionali cessioni che si ricordino: quando Camillo vende i propri capolavori d’arte antica (154 statue, 160 busti, 170 bassorilievi, 30 colonne e vari vasi) al Louvre, che forma così l’ossatura della sua collezione archeologica.
“Da quella vendita derivano le prime leggi di tutela dello Stato Pontificio”, spiega la direttrice Anna Coliva; “Da quattro anni lavoriamo a questa ricostruzione filologica con il museo parigino: ci presterà 65 opere, alte anche tre metri”. Quando sarà possibile, “le collocheremo dove erano”. Tornerà anche l’Ermafrodito, che Bernini restaura nel 1619, e con lui, il Seneca morente (“che non è affatto Seneca”, precisa il famoso docente d’archeologia Antonio Giuliano); le Muse del II secolo d.C.; una Baccante alta due metri e 20; le Tre Grazie; il Supplizio di Marsia; l’immenso Vaso Borghese con scene dionisiache del 30 a.C., trovato agli Horti Sallustiani nel 1569, in marmo pentelico d’Atene, alto ben 172 centimetri e largo 136. Questo ed altro, formava quella collezione che Scipione, ‘cardinal nepote’ di Papa Paolo V, nel Seicento concepiva come “teatro dell’universo con ogni sorta di delitia che desiderare et havere in questa vita si possa”. A cedere questo patrimonio è Camillo, dal 1803 secondo marito di Paolina Bonaparte, una dei 13 figli di Madame Mère, Letizia Ramolino, mamma di Napoleone.
«Abbiamo già cominciato a spostare alcune sculture: per la prima volta, il Louvre si priva di una parte tanto ingente delle sue collezioni; ma noi dobbiamo anche provvedere a ricollocare le 65 statue dove già erano», conclude Coliva; almeno con una mostra, Roma (e il mondo) si ricompensano: si colma la lacuna di quella vendita davvero sensazionale, si vedrà come era la Villa, sogno di tutti i viaggiatori dell’epoca.